La colazione di Tiffany



La colazione di Tiffany
di Anna Muri




Tiffany cominciò ad avvertire i sintomi della fame quando i dieci piccoli Lillipuziani scivolarono nel suo piattino di ceramica. Si alzò immediatamente e cominciò battere le mani come se avesse appena finito di scartare un graditissimo regalo. 
“Oh grazie, grazie mamma!” Esclamò. “Lo sai quanto mi piacciono!”
“Lo so.” Rispose lei pacatamente e le arruffò i capelli con un gesto affettuoso.
Le minuscole creature erano terrorizzate gridavano e correvano verso i bordi scivolosi del piatto. Per la paura e la disperazione cercavano di mettersi in salvo, puntellandosi con le mani e le ginocchia sulle scanalature e i ghirigori che decoravano la ceramica.
Tiffany li guardava con un misto di curiosità e di divertimento, e dopo un momento di indecisione ne sollevò uno che aveva un’aria paffutella e deliziosa e lo sollevò a dieci centimetri dal suo naso.
“Ciao piccolino,” gli disse. Era un esemplare giovane, un maschio - ormai lei aveva imparato a riconoscerli - con pochissimi capelli appiccicati sulla testa e la pelle unta e bagnata. Un braccio era proteso verso i suoi compagni, mentre con l’altro cercava di spostare il dito per lui enorme di Tiffany.

Com’è spaventato, pensò lei, si vede che non vuole finire nella mia pancia. Beh posso capirlo, poverino. Non dev’essere affatto bello essere mangiati. Se dovesse capitare a me… Ma che stupidina che sono! A me non può capitare. Perché io non sono una Lillipuziana.

E così riflettendo spalancò la bocca e si cacciò dentro l’omino. Rimase un momento immobile, con le labbra serrate, come se stesse decidendo il momento giusto per ingoiare, in realtà il piccoletto era già scivolato in fondo alla gola e adesso stava precipitando lungo lo stretto e viscido cunicolo e la sua fine imminente.

Burp!

La piccola Tiffany si toccò la pancia e, battendo le mani con aria di scomposto compiacimento, volse nuovamente gli occhi al piatto, dove i superstiti ancora disperavano.


“Tiffany!” La raggiunse la voce di sua sua madre. “Adesso smettila di giocare, tesoro o farai tardi per la scuola.”
"Va bene, va bene, mammina" Passandosi una mano sulla fronte per liberarla dai capelli ancora sciolti, Tiffany continuava a guardare nel piatto di ceramica, con un misto di tenerezza e divertimento. "Allora?" Chiese. "Chi vuole essere il prossimo?" Ovviamente, a quell'età non aveva alcuna autentica comprensione delle reali implicazioni legate a quel suo modo di agire, ma con il tempo le cose sarebbe andate diversamente. Andando avanti con l'età, Tiffany avrebbe certamente capito che la chiave dell'inferno apre anche quella del paradiso. Che il mondo che i bambini immaginano essere il ciborio di tutte le cose divine si trasformerà in nient'altro che in polvere. Perché la vita possa essere rigenerata è necessario riaccendere quotidianamente il fuoco della passione. 
Ma quei poveri Lillipuziani.... avevano un aspetto così umano. Così delizioso.... e più gridavano e piangevano più lei moriva dalla voglia un po' inspiegabile di assaggiare le loro membra, di sentirli scendere nella gola, ancora caldi e salati di lacrime. 
Tiffany ne aveva afferrato un altro per i piedi e lo teneva sollevato e quello gridava e si dimenava, supplicando con la sua stupida vicina da topolino. Lei non capiva le parole che diceva. Ma a giudicare dal tono si stava dando molto da fare per cercare di convincerla a metterlo giù. Sentiva certamente di essere arrivato alla fine dei suoi giorni e questa consapevolezza occupava ogni cellula del suo corpo, fin quasi a farlo impazzire.
Per Tiffany era uno spettacolo affascinante e a tratti perfino divertente. Le sembrava di vedere un piccolo vermicello attaccato ad un amo e ancora una volta non poté fare a meno di chiedersi che cosa avrebbe fatto lei se, si fosse trovata nella situazione disperata del verme.
"Ascolta è inutile che ti agiti tanto. Ora ti faccio fare lo scivolo nella mia gola, va bene? E poi non so... forse ti scioglierai nel mio pancino. A cosa vuoi che ti serva agitarti così? A niente di niente! Tanto vale che ti rilassi capito?"
Ma il minuscolo Lillipuziano non ne voleva sapere di darsi pace e così Tiffany fece spallucce e se lo cacciò in bocca e lo deglutì aiutandosi con un sorsata generosa di latte caldo. Ed ecco che quello scese, lungo tutto il corpo, la gola e il petto... e nella pancia finalmente, e avvertì Tiffany in quel momento un improvviso formicolio che la obbligò a cambiare posizione sulla sedia. Era una sensazione molto intensa e piacevole, che le ricordava per certi versi un profumo intenso di fiori e di miele e di altre cose buone. Una sensazione di incontenibile contentezza e allora...
Aspettò che sua madre si voltasse per metterle qualcosa nello zaino e svelta tirò su un altro Lillipuziano, femmina questa volta, e cominciò a leccarlo e succhiarlo e a riempirlo di saliva e di misteriose attenzioni. Dopodiché si sollevò l'elastico delle mutandine e con un movimento da prestigiatore vi lasciò cadere la Lillipuziana, senza sapere neppure il perché o che cosa si aspettasse di ottenere.
Sua madre in quel momento si voltò per vedere come fosse messa. "Tiffany!", gridò. "Stai attenta che uno è scappato fuori dal piatto."
"Scusami mammina!"
Tiffany appoggiò le labbra sul bordo del piatto dove il Lillipuziano stava tentando un tuffo sulla tavola e con un movimento veloce della lingua se lo spinse in bocca e lo tirò giù.
Burp!
Poi sorrise alla mamma con aria da angioletto. Avrebbe voluto intrattenersi ancora un po', ma si stava facendo davvero troppo tardi e era ora di chiudere il circo. "Vi amo piccoli miei!" bisbigliò. "Vi amo tutti!”
Prese la tazza di latte ci buttò dentro i Lillipuziani rimasti e bevve.
Glup. Glup. Glup. Glup.
Burp.
Più tardi mentre si abbottonava il grembiule sentì la minuscola creatura muoversi nelle sue mutandine e farle il solletico in un punto un po' troppo intimo e delicato, e schiacciando un po' con le mani si mise ad accarezzarsi da sopra i vestiti. “Brava la mia piccolina," diceva. "Sapevo che eri forte. Ma aspetta, rimani qui con me. Non vuoi tenermi compagnia? Vedrai come ci divertiremo insieme.”




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